Ricordiamo Jan Palach, perché, crediamo, il suo messaggio non sia morto con la caduta del muro né con l’occidentalizzazione della ČR.
I turisti passeggiano per Piazza San Venceslao, mentre si smontano le luminarie natalizie, ed i vari negozi e bar illuminano la piazza con le loro insegne. Fa freddo, ma il clima è rilassato; qualcuno chiede una foto, qualcun altro si accende una sigaretta e osserva la piazza, altri ancora controllano cartine, mappe e smartphone. La statua di San Venceslao a cavallo torreggia, con il suo sguardo severo a scrutare la piazza, testimone degli accadimenti della storia, mentre la figura imponente del Národní Muzeum, il Museo Nazionale di Praga domina il quadro. Un gelido giorno di gennaio come molti altri, si potrebbe pensare.
Ma portando indietro l’orologio al 16 gennaio 1969, si vedrebbe un giovane studente dell’Università Carlo posare una borsa contenente alcuni scritti, e dopo essersi cosparso di benzina, darsi fuoco con un accendino.
Proprio li, in Piazza San Venceslao, a pochi passi dalla statua del santo. Il giovane in questione era Jan Palach, nato a Všetaty nel 1948, studente di economia, e patriota cecoslovacco. Il motivo del suo disperato gesto trova la sua origine nell’agosto del 1968.
Il partito comunista cecoslovacco (Komunistická Strana Československa, o semplicemente KSČ) capeggiato da Dubček aveva dato inizio in maniera lenta e costante a misure di liberalizzazione politica a partire dal gennaio del 1968, dando origine alla Primavera di Praga e al così definito “Socialismo dal volto umano”. Questo periodo di apertura venne tuttavia bruscamente interrotto dall’entrata di mezzo milione di uomini del Patto di Varsavia controllate da Mosca.
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I soldati sovietici si impossessarono delle vie principali, degli snodi stradali e ferroviari, nonché della capitale. Non vi furono gli scontri di Budapest ’56, ma di certo non fu nemmeno un intervento del tutto pacifico.
Iniziò dunque il braccio di ferro tra Alexander Dubček ed il Partito Comunista dell’Unione Sovietica (PCUS), con Dubček che partiva in terribile svantaggio. Ciò lo portò ad accettare i dettami del PCUS.
Il popolo cecoslovacco, nel vedere i carri armati (che solo due decadi prima li avevano liberati) occupare il paese, iniziò ad arrendersi all’evidenza. Dopo mesi di occupazione sovietica, ed il reinsediamento del “vecchio” socialismo, il popolo sembrò perdere la speranza.
Palach dichiarò che a seguito del suo gesto ne sarebbero seguiti altri, poiché si era costituita, secondo quanto lui dichiarato, una rete di patrioti pronti ad immolarsi. E’ vero che seguirono altre immolazioni, ma le prove dell’esistenza di una tale rete non sono mai state dimostrate. Quello che qui interessa è dare alcune spiegazioni a quello che è accaduto.
Il lascito di Jan Palach
Si può dire che il gesto di Palach sia stato di protesta contro l’invasione, ma ciò significherebbe semplificare e snaturare un’azione di protesta tanto dura. Infatti l’auto immolazione del giovane Jan Palach ha diversi motivi, e diversi significati.
In primis, il desiderio di vedere i suoi concittadini tornare a lottare per i loro diritti e non piegarsi all’acciaio sovietico. In secondo luogo, fu un atto di protesta per l’arrendevolezza di Dubček davanti alle richieste del PCUS. Infine, Palach decise di sacrificare sé stesso per lanciare un messaggio a tutti i suoi compatrioti. Il popolo cecoslovacco non si era arreso dopo lo smembramento del paese nel 1938, non si era arreso durante l’occupazione, e nemmeno durante il periodo stalinista. Il popolo cecoslovacco non si sarebbe arreso nemmeno ora, davanti ai carri T-62 sferraglianti per le vie di Praga.
Il giovane morì pochi giorni dopo, il 19 gennaio, in seguito alle tremende ustioni. I funerali di Jan Palach si tennero a Praga. La salma venne rimossa dalle autorità nel 1973 a causa dell’impatto che ebbe la sua morte sull’opinione pubblica. Il corpo, successivamente cremato, tornò al cimitero di Olšany (Olšanský hřbitov), a Praga solo nel 1990, ed è li che ancor oggi le ceneri di Jan Palach, riposano.
Il monumento principale a lui dedicato (la croce in piazza Venceslao) è il punto in cui si diede fuoco, davanti al Narodní Muzeum, ricordato da una croce sul terreno. Nello stesso punto si diede fuoco un altro giovane, poco più di un mese dopo. Era Jan Zajíc, ed anche ad egli è dedicato questo monumento.
Il messaggio di Palach, tuttavia, non muore con la caduta del muro, e tanto meno con l’occidentalizzazione del paese. Testi, brani e movimenti culturali dedicati a Palach ed alla Primavera di Praga continuano oggi a esistere, ricordando lo spirito di sacrificio con cui Palach, Zajíc ed altri giovani hanno deciso di protestare. Ragazzi che hanno dato la vita pur di vedere restituite le libertà ai loro concittadini, e affinché la speranza non abbandonasse del tutto il popolo cecoslovacco, piegandolo definitivamente alle imposizioni del governo sovietico. La memoria di questi giovani non deve, dunque, andare perduta.
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