Quello di oggi, più che pillole, lo dovremmo chiamare “suppostone da chilo”. Ci imbarchiamo nel tentativo di spiegare gli aspetti verbali.
Non so bene perché stia qui a scrivere questo articolo. Sarà il Martini che mi ha messo la pulce all’orecchio? Può essere, ma rimane il fatto che quello che in verità oggi vi dico, probabilmente, risulterà completamente inutile ai più. Questo perché purtroppo l’italiano gli aspetti verbali non li ha. E non li aveva nemmeno il latino, quindi siamo senza appigli. Non solo, tolte le lingue slave, nessuna lingua “euro” del gruppo indoeuropeo li ha. Come mai? Per rispondere non possiamo far altro che dare il via al solito pippone. Se non vi interessa, saltatelo a piè pari!
Il principio di semplificazione della lingua, volume #2
Nel pippone #1 avevo notato che le lingue latine, per eliminare le declinazioni, hanno sviluppato gli articoli (il, la, ma anche the in inglese). Bene, le lingue slave per semplificare i tempi hanno sviluppato appunto gli aspetti verbali1.
A ciascuno il suo trucchetto. Bello, no?
Certo! Anche perché questa è la cosa affascinante dell’evoluzione linguistica nelle lingue indoeuropee: ogni trucchetto inventato da ciascuna lingua per diventare più semplice è assolutamente intuitivo per chi la parla. Ed è assolutamente intuitivo anche per chi parla una lingua che ha sviluppato la stessa roba, anche se di sottofamiglia diversa. Quindi noi non abbiamo problemi a capire quando usare “the” in inglese. Per tutti gli altri, però, è una cosa assolutamente incomprensibile. E, in definitiva, non capiranno mai del tutto la regola.
Ecco perché il sommo Vujadin diceva “rigore è quando arbitro fischia”; ecco perché molti cechi (e non solo loro) quando parlano in inglese dicono “the Prague”; ecco perché un ceco, per quanto bene parli l’italiano, prima o poi sbaglierà un articolo; ed ecco perché, di contro, noi non capiremo mai alla perfezione come usare gli aspetti verbali. Nemmeno quando avremo preso la cittadinanza.
Già che ci siamo, gli aspetti in ceco si chiamano “vidy“.
Gli aspetti in italiano
Gli aspetti, un po’ come i nostri articoli, sono pochi. Solo due:
- aspetto imperfettivo – nedokonavý vid, che poi è quello che ti insegnano per primo all’università ed è probabilmente l’unico insegnato ai corsi aziendali.
- aspetto perfettivo – dokonavý vid
Sia chiaro, anche in italiano la perfettività o imperfettività di un’azione viene espressa. Ma in un altro modo, ovvero scegliendo tra la miriade di tempi di cui l’italiano dispone e tramite il contesto fornito da tutta la frase. Quindi l’italiano ha l’aspetto nei tempi, non nei verbi. Magari il fatto che due tempi dell’italiano si chiamano imperfetto vi dovrebbe mettere già un po’ in guardia. Il fatto che il passato remoto in latino si chiamava perfetto potrebbe portarvi allo step successivo.
Gli aspetti verbali in ceco
Il ceco risolve il fatto di avere solo quattro tempi raddoppiando i verbi. Se l’italiano ha tempi imperfetti e perfetti, il ceco ha verbi imperfettivi e perfettivi, e di solito a un imperfettivo corrisponde sempre un perfettivo, tanto che questi verbi formano le cosiddette coppie aspettuali. E può sembrare assurdo, ma imparare le coppie è facilissimo anche per noi. Dělat/udělat, říkat/říct, prohlížet/prohlédnout, nakládat/naložit. Basta un minimo di applicazione e le coppie aspettuali si imparano come i paradigmi dei verbi inglesi.
Il problema serio è capire quando usare un tipo di verbo e quando l’altro.
Certo, ci sono in italiano alcune forme verbali che in ceco possono essere espresse PRINCIPALMENTE con un verbo imperfettivo. Ma l’imperfetto non è la migliore tra questi da usare come esempio. In realtà le forme più “imperfettive” sono quelle del tipo “sto facendo” (ma non è una corrispondenza totale, come vedremo fra un po’).
E adesso spieghiamo il senso ultimo degli aspetti verbali. I vidy slavi infatti si sono sviluppati per presentare la stessa azione in due modi diversi (la stessa azione assume un aspetto diverso a seconda di come la presenti):
- L’aspetto imperfettivo presenta l’azione nel suo svolgersi,
- L’aspetto perfettivo presenta l’azione nella sua interezza, dall’inizio alla fine.
Chevvordì? In effetti è un po’ astratto, ma se siete arrivati indenni fino a qua, ora inizia la parte divertente.
Il verbo imperfettivo
Si è detto che il verbo imperfettivo espone una azione nel suo svolgersi. Spieghiamo questa cosa con un esempio concreto.
Supponiamo che sia un martedì di Champions league e io debba andare dal Martini a vedere un gustosissimo Barcellona-Ferencváros. Alle 21:10 non sono arrivato e il Martini mi scrive per chiedere conto.
Viene in essere il seguente botta e risposta.
Ecco, questa risposta è squisitamente imperfettiva. Con una risposta simile pongo l’accento sul fatto che sono ancorato sul water, non sul fatto che a un certo punto si giungerà all’evacuazione ed io andrò dal Martini a vedere il Barcellona-Ferencváros.
Semplicemente pongo l’attenzione sull’azione in corso in un dato momento, non importa né come né quando finirà. Perché, in definitiva, un’azione imperfettiva è un’azione incompleta.
Il verbo perfettivo
L’aspetto perfettivo, di contro, ha la funzione esattamente opposta, ovvero presentare l’azione nella sua completezza.
Prendiamo in considerazione quello stesso martedì di Champions league in cui devo andare dal Martini a vedere Barcellona-Ferencváros2. Alle 21:10 non sono arrivato e il Martini mi scrive per chiedere conto.
Viene in essere il seguente botta e risposta.
In questo caso, quello che voglio comunicare al Martini sono due cose, ovvero il fatto che sicuramente arrivo e il fatto che gli šunkofleky che ho nel piatto li mangio tutti, fino alla fine.
Qui le azioni, tanto del mangiare gli šunkofleky che di percorrere i 150 metri che separano le nostre abitazioni saranno svolte dall’inizio alla fine. Saranno perfettamente completate.
Questo è quanto. Immaginando che comunque il tutto rimanga assai astratto passo a spiegare esempi concreti e semplificazioni.
Confondere gli aspetti verbali non è un errore grave
In effetti se usate un perfettivo anziché un imperfettivo non è che la gente non vi capisca. Di fatto in buona parte delle situazioni usare l’uno o l’altro non cambia quasi nulla. Quasi, eh! L’utilizzo dell’uno o dell’altro genera infatti differenza a livello di sfumatura. Prendiamo due casi in cui la stessa frase in italiano può essere tradotta sia con un imperfettivo che con un perfettivo.
Esempio 1: siete al bar, il cameriere arriva e voi gli dite “sto aspettando un amico“. In ceco questa frase può essere tradotta sia con “čekám na kamaráda” che con “počkám na kamaráda”. La scelta del verbo però comunica al cameriere anche delle informazioni secondarie. Se usate l’imperfettivo čekat dite anche che “se ‘sto pirla non arriva entro dieci minuti ordino qualcosa” e dunque, prima o poi, il cameriere verrà a chiedere se non siete stufi di aspettare. Se invece usate počkat il cameriere dovrebbe lasciarvi in pace finché quell’altro non arriva, ovvero finché non avete finito di aspettare (l’azione di aspettare è completa). Come anticipato sopra, notate che “sto aspettando un amico” e “aspetto un amico”, in italiano non danno questa differenza di percezione. Un cameriere italiano verrà a chiedervi se volete prendere qualcosa con entrambi i verbi quando gli gira a lui, uno ceco, se usate počkat, aspetterà tendenzialmente un po’ di più.
Esempio 2: Se dite “domani compriamo la televisione“, in italiano date l’idea di una cosa certa. In ceco non è detto. Se infatti in ceco fate la frase imperfettiva “zítra si budeme kupovat televizi”, dite che domani sicuramente andate da Mediaworld, ma non è detto che compriate qualcosa. Magari ne guardate due o tre e vi tenete ancora qualche giorno per la scelta finale. Viceversa, con il verbo perfettivo “zítra si koupime televizi” è certo che domani in quel negozio della Mediaworld entrate col rotolo di dvojstovky in tasca e uscite con la cassa a cristalli liquidi sotto il braccio. Quindi occhio a quel che dite alle consorti!
Non tutti i verbi hanno le coppie aspettuali
Alcuni verbi hanno soltanto la forma imperfettiva. In linea di massima sono:
- i verbi che si imparano nei primi due anni di vita, ovvero být e mít e i modali, che in ceco sono 4 e non 33: moct, muset, smět e chtít.
- verbi che sono imperfettivi per natura come stát (stare) e stát se (diventare) o vypadat (sembrare) e zdát se (avere l’impressione).
- vi è anche vzít, che è il verbo perfettivo sia di brát (prendere) che di nést (portare). A tutti quei che pensano che il perfettivo di nést sia nosit, voglio far notare tutta l’imperfettività della frase “nosím brýle”.
- Venendo a verbi che molto probabilmente conoscete, ma non sapete che fanno coppia aspettuale, l’imperfettivo di jít è chodit, quello di jet è jezdit. Cioè, in realtà sono due frequentativi ma non credo sia il caso di incasinare la cosa a caso più di quanto già non sia.
I perfettivi non hanno futuro
Non nel senso che sono destinati a sparire (magari). E forse lo avete già notato nell’esempio della televisione.
Nell’episodio precedente abbiamo detto che il futuro si fa con budu+infinito. Ecco, con i verbi perfettivi questa formula non vale, si usa direttamente il presente. Un po’ come in italiano quando diciamo “domani lo faccio”. In ceco si dice solo “zítra udělám”, mentre “zítra budu udělat” è sbagliato, non esiste proprio e vi saranno tagliate la lingua o le mani a seconda del mezzo di comunicazione. Tranquilli, questo errore continuo a farlo anche io.
50.000 sfumature di verbo
Una buona parte dei perfettivi si creano aggiungendo una preposizione al verbo imperfettivo: dělat/udělat – pít/napít – jíst/najíst – spát/vyspat – srát/vysrat (quest’ultimo per chi volesse saperne di più sulla mia risposta imperfettiva al Martini).
Da questa cosa il ceco ha preso l’abitudine di attaccare svariate preposizioni davanti a un verbo per crearne altri con sfumature leggermente diverse, come ci insegnò il ministro Prymula durante la prima ondata di Coronavirus quando dal cilindro estrasse il suo famoso promořit (letteralmente “contagiare la nazione fuori per fuori”).
Prendiamo, completamente a caso, il verbo pít4, da cui derivano i seguenti verbi che sfumano ulteriormente l’aspetto:
- vypít (bere fino al fondo del bicchiere in un solo sorso)
- zapít (andare a berne una)
- dopít (finire di bere)
- popít (sorseggiare)
- propít (forma lieve di “spaccarsi ammerda”, che se di solito si dice prochlastat)
E ci sono tanti verbi che hanno una miriade di derivati che in italiano dovremmo esprimere con frasi decisamente lunghe, come si è appena visto. Capito la storia della semplificazione della lingua?5
Note
1Per chi ha notato la didascalia sotto all’immagine di copertina. Anche il polacco ha gli aspetti verbali.
2 Visto che all’uscita dell’articolo eravamo in lockdown profondo, a questo punto mi preme specificare che Barcellona-Ferencváros l’ho vista, ma non dal Martini, senza ingombri di water né di šunkofleky.
3In tedesco i modali sono 6, quindi poteva andarci peggio, secondo il principio “siete degli eroi, non dei martiri”, con cui l’altissimo ci apostrofava quando ci lamentavamo della grammatica slava (e poi tirava fuori le lingue bantu e le lingue click).
4Evitando così al Canepa la fatica di bersi 7 rum in 20 minuti. Eccerto, perché i derivati sono 5, ma al Martini dovevo spiegare anche pít e napít.
5Giuro su Lev Bronštejn che questo ultimo sottocapitolo è stato scritto prima del commento del Ripamonti all’articolo sul sistema verbale della settimana scorsa e quindi non ha intenzione di risposta al medesimo.
Qua potete trovare tutti i numeri della nostra rubrica ceco in pillole
Qui trovate invece il volume che dà una panoramica della lingua ceca
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