Una delle regole fondamentali che ci insegnano alle lezioni di ceco è che la Ú si scrive a inizio della parola e la Ů alla fine. Ma i cechi non sanno perché “Ú” e “Ů” esistono.
La pronuncia di “Ú” e “Ů” è la stessa, quindi la regola non sembra necessaria. Quindi a che serve avere due caratteri diversi sulla tastiera? In realtà a nulla, ma almeno spieghiamo da dove queste due lettere sono saltate fuori.
Ciao, sono il dittongo!
La Ú (esattamente come le colleghe Á, É, Í, Ó, e Ý) esiste in ceco sin dall’inizio della sua storia. La Ů invece è arrivata dopo e quindi la vedremo più tardi.
Quello che ci interessa è che le lingue sono soggette a un’evoluzione continua (cosa che ai “si dice pettegolezzo, non gossip” non deve far troppo piacere). Soprattutto quando il livello di alfabetizzazione è basso e si scrive poco.
In ogni caso, per questo fatto che la lingua non è eternamente uguale ma si evolve, la Ú a una certa (alto medioevo) si è trasformata in OU. Quella che prima era “múka” è diventata “mouka”. Questo fenomeno si chiama dittongazione. Non bastasse, si tratta di una dittongazione completa, ovvero è accaduta per qualsiasi parola. Tranne che in un caso. Se la Ú era la prima lettera, è rimasta così com’era, ad esempio in Újezd. Notate infatti che in slovacco questa cosa non è successa e infatti gli slovacchi la farina la chiamano ancora “múka”.
Ora vediamo quando è saltata fuori la Ů
Assieme alla Ú, all inizio dei tempi, c’era anche la Ó, che ha subito un processo di mutazione simile e ancora più completo, tanto che è sparita completamente. Guardate una tastiera ceca e ditemi dove sta la Ó. Non c’è! E infatti in ceco la trovate solo a mo’ di scimmiottamento dell’accento in parole straniere – solo due me ne vengono in mente: “próza” e “diagnóza” (spero non servano spiegazioni).
La Ó a una certa (sempre alto medioevo) ha subito, come la Ú, la sua dittongazione ed è diventata UO. E questo fenomeno, oltre che completo, non ha avuto eccezioni. Stól quindi è diventato stuol e sól è diventato suol, o, per chi sa i genitivi plurali, kusóv è diventato kusuov (e poi la v è caduta, ma pazienza).
Ora, il fatto che qualcosa cambi in una lingua, non significa che non possa cambiare di nuovo. In questo caso è andata più o meno così. Il dittongo UO, sempre a una certa (XV secolo), si è ricontratto in una U lunga identica alla Ú. Per qualche motivo però, i cechi di allora dovevano essersi affezionati alla O e hanno deciso di tenersela, mettendola sopra alla U. Nacque così la Ů (vedi foto).
“Ú” e “Ů”: eccezioni che non sono eccezioni
Tralasciando per un attimo che in una lingua le eccezioni di oggi sono i resti delle regole di ieri, esistono effettivamente dei casi in cui la Ů sta nella prima sillaba e la Ú sta da altre parti che non dovrebbero competerle.
- Se la Ú non sta all’inizio i casi sono sostanzialmente due:
- è una parola composta, ad esempio troj-úhelník (tri-angolo) o z-účastnít (partecipare). In questo caso, la ú sta all’inizio della sua parola.
- è una parola straniera, quindi per conformità grafica si trasforma il ragù in ragú (per dire).
- La Ů invece sta nella prima sillaba quasi solo in parole monosillabe(1), e in queste parole ovviamente una volta c’era la Ó. Sono quelle che ho detto prima: stůl (tavolo), sůl (sale), bůh (dio), kůň (cavallo). Da che potrebbe ora saltare fuori una seconda domanda.
Perché il genitivo di stůl è stole?
Già, perché tutte le parole monosillabi con la Ů al nominativo singolare poi nel resto della declinazione hanno sempre la O? E perché “divino” si dice božský se dio è bůh(2)?
Beh, quella O sta in quelle declinazioni dai tempi in cui ancora esisteva la Ó. Il punto è che “O” e “Ó” sono due vocali diverse e quella che si è dittongata è solo la seconda.
Sì, “O” e “Ó” sono due vocali diverse (come A e Á e via dicendo). Oggi gli italiani questa cosa non la sentono più ma una volta ci riuscivano (solo che parlavano latino: vi ricordate di “ā” e “ă”?). E volendo scomodare una lingua che è sia viva che più facile dell’italiano, pensate alla differenza tra “bee” e “be”. Questa cosa che una vocale è leggermente più lunga di un’altra si chiama quantità vocalica e chi vuole può saperne di più leggendo qui.
E ora mi si chiederà perché c’era questo alternarsi di Ó e O nella stessa parola? Se ci pensate, noterete che questa cosa in ceco esiste da altre parti. Ad esempio nei verbi. Il passato di spát è spal (e anche questa è una cosa regolare per i verbi).
Questo perché la vocale nella radice della parola cambiava, e cambia ancora, per segnalare una funzione grammaticale diversa. Il plurale nei nomi, il tempo nei verbi. Questa cosa si chiama apofonia e, anche se c’ha un nome strano, tutte le lingue “euro” del gruppo indoeuropeo la hanno. In tedesco Wald diventa Wälder (pron. vélder), in inglese forget diventa forgot. Pensate un po’, qualcosa è rimasto anche in italiano, ad esempio quando dovere diventa devo.
Ringrazio proofreading.cz che mi ha dissipato alcuni dubbi sulla Ú.
(1) způsob e zůstat, non credo ce ne siano molte altre.
(2) vaben, con questa mi sono fregato da solo e dovrò spiegare anche perché la H diventa Ž, ma pazienza.
Qua potete trovare tutti i numeri della nostra rubrica ceco in pillole
Qui trovate invece il volume che dà una panoramica della lingua ceca
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